E così Tarquinio, non essendo riuscito a riconquistare il trono insieme agli alleati etruschi delle città di Tarquinia e Veio, cercò aiuto in Lars Porsenna, lucumone della potente città etrusca di Chiusi, (nel 508 a.C., durante il consolato di Tito Lucrezio Tricipitino e Publio Valerio Publicola). Il Senato romano, venuto a sapere che l'esercito di Porsenna si stava avvicinando, temette che il popolo di Roma potesse, per la paura, accogliere di nuovo il re Tarquinio in città. Per questo motivo prese una serie di provvedimenti che rafforzassero la voglia da parte della plebe di resistere di fronte all'imminente assedio.
Si provvedette, pertanto, ad avere cura, prima di tutto, dell'annona, inviando emissari tanto ai Volsci quanto a Cuma con l'obiettivo di procurare frumento; il commercio del sale, il cui prezzo era ormai aumentato alle stelle, fu sottratto ai privati e divenne monopolio di stato; la plebe venne esentata da dazi e tributi, mentre le classi abbienti dovettero sostituirsi fiscalmente nella misura in cui erano in grado di farlo. Queste misure ebbero successo, tanto che la popolazione di Roma prese animo, pronta a combattere contro il nemico. Secondo la leggenda, Porsenna assediò Roma, ma pieno di ammirazione per gli atti di valore di Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia, desistette dal conquistarla, facendo ritorno a Chiusi. Questo secondo quanto raccontano gli storici favorevoli alla tradizione romana come Tito Livio, o Floro, probabilmente per nascondere una possibile disfatta romana. Secondo la versione di Dionigi di Alicarnasso, dopo la partenza di Porsenna il senato romano inviò al re etrusco un trono d'avorio, uno scettro, una corona d'oro e una veste trionfale, che rappresentava l'insegna dei re.
L'arresto dell'espansionismo etrusco era pertanto cominciato sul finire del VI secolo a.C. Prima era stata Roma a liberarsi dalla loro supremazia con la cacciata dei Tarquini; poi se ne liberarono i Latini, che, sostenuti da Aristodemo di Cuma, ad Ariccia, nel 507/506 a.C., li sconfissero in battaglia. Livio infatti racconta che, abbandonata la guerra contro Roma, Porsenna, per evitare di subire critiche al suo ritorno, inviò il proprio figlio Arrunte ad assediare Aricia con parte dell'esercito. Inizialmente sembra che l'attacco colse gli abitanti alla sprovvista, poi ricevuti i rinforzi dalle vicine città latine e dai Greci di Cuma, ebbero la meglio sulle truppe etrusche. I pochissimi superstiti, privi del loro comandante, riuscirono a raggiungere Roma. Qui, supplici, vennero accolti benignamente e ospitati dai Romani. Alcuni più tardi fecero ritorno alle loro abitazioni, molti invece rimasero a Roma, per l'affetto che ormai li legava alla città. Il quartiere, che venne loro assegnato, prese il nome di "Vicus Tuscus".
La sconfitta etrusca ad Aricia pose, in definitiva, gli avamposti degli Etruschi in Campania isolati. Più tardi, dopo la successiva sconfitta navale ad opera sempre di Cuma nel 474 a.C. (v. battaglia di Cuma), andarono via via perduti, tanto che a partire dal 423 a.C. la stessa Capua venne occupata dagli Osci.
Attorno agli anni 505/504 a.C. scoppiò una nuova guerra tra Roma e i Sabini, e benché Livio non faccia alcuna menzione del coinvolgimento degli Etruschi, i Fasti triumphales registrano che il console Publio Valerio Publicola celebrò un trionfo sia sui Sabini, sia sui Veienti nel maggio del 504 a.C..
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