A seguito del consolato, tra il 7 e il 6 a.C. Varo, grazie all'amicizia di Tiberio, fu proconsole nella provincia d'Africa, che Augusto aveva lasciato alla giurisdizione di un magistrato scelto dal senato, e che veniva assegnata a uomini di rango consolare. Della permanenza di Varo in Africa non si ha alcuna notizia; rimangono tuttavia, alcune monete su cui fu inciso il suo nome, e rappresentato un volto che tuttavia non è, probabilmente, quello del proconsole. Poiché non si dispone di altre raffigurazioni iconografiche di Varo, non è comunque possibile determinarne il reale aspetto fisico. In Africa, Varo si trovò a comandare la Legio X Gemina, unica legione a essere assegnata al governatore di una provincia senatoria; il proconsole si distinse probabilmente in alcune operazioni militari, di cui non ci è rimasta alcuna notizia, tanto da guadagnare la nomina di legatus Augusti pro praetore per la provincia di Siria.

Guadagnata la fiducia di Augusto nell'esercizio delle sue funzioni in Africa, dove dové distinguersi particolarmente, Varo ottenne la nomina di governatore della provincia imperiale di Siria, dove fu inviato nel 6 a.C., al termine del suo mandato in Africa. L'incarico comportava grandi responsabilità: la provincia rivestiva una significativa importanza politica ed economica, e Varo avrebbe dovuto tenere sotto controllo i regni vassalli orientali, i cui sovrani tendevano spesso a sottrarsi all'autorità di Roma o a minacciarne i domini, e frenare le tendenze autonomistiche di alcune città delle zone interne. Era dunque necessario un uso accorto della diplomazia, cui talvolta doveva subentrare l'impiego delle forze militari: lungo i confini, infatti, erano frequenti le tensioni con l'impero partico.

Varo aveva a disposizione un consistente esercito formato da due (soluzione più probabile, come sembra suggerire la monetazione del periodo) a quattro legioni: la III Gallica, la VI Ferrata, la X Fretensis e la XII Fulminata. Particolarmente intense furono le relazioni tra Varo e il regno di Giudea, retto dal re Erode il Grande. Verso la fine della sua vita, nel 4 a.C., questi, convinto di dover temere insidie anche da parte dei suoi parenti più stretti, desiderosi di impossessarsi del regno, accusò di alto tradimento il figlio Antipatro, che aveva precedentemente designato come suo successore sul trono, e convocò lo stesso Varo come presidente della corte che avrebbe dovuto giudicare il reo. Antipatro tentò di dimostrare la propria innocenza, ma Erode rispose alle sue parole con pesanti accuse, chiedendo a Varo che, per mantenere la pace nel regno di Giudea, acconsentisse alla condanna a morte del figlio accusato. Varo garantì il corretto svolgimento del processo, permettendo ad Antipatro di difendersi dalle accuse che gli venivano mosse contro, ma, al termine del procedimento giudiziario, il giovane fu giustiziato.

Nel corso del 4 a.C. venne però a morte anche lo stesso Erode; nel testamento lasciò scritto che il regno venisse diviso tra i suoi tre figli superstiti, Erode Archelao, Erode Antipa ed Erode Filippo II. Antipa, tuttavia, reclamava per sé solo il trono, sostenendo che il padre avesse modificato il testamento, includendovi i restanti due figli, solo quando era in fin di vita, e dunque privo di lucidità; Archelao fu dunque costretto a recarsi a Roma per richiedere ad Augusto il riconoscimento della propria sovranità, e i suoi territori ricaddero momentaneamente sotto la giurisdizione del procuratore romano Sabino. I Giudei, che mal sopportavano tanto Archelao quanto l'idea di essere governati direttamente da un magistrato romano, approfittarono dunque della sua assenza per attaccare le truppe di Sabino, che si trovarono in grande difficoltà, ma furono salvate dall'arrivo dei rinforzi guidati dallo stesso Varo. Questi, per pacificare il territorio in rivolta, dislocò abilmente le sue forze e marciò sulle principali città, e, giunto a Gerusalemme, mise in atto una dura politica di repressione, ordinando la crocifissione di circa 2000 Giudei che si erano ribellati alla sua autorità.

Archelao, intanto, si vide riconoscere da Augusto la sovranità sui territori assegnatigli nel testamento dal padre, e fece ritorno in patria dopo che Varo aveva sedato le rivolte; lo stesso Varo, dunque, risolta la crisi, terminò il suo mandato e fece ritorno a Roma, probabilmente nel 3 a.C. Non si ha alcuna notizia di Varo per il periodo che intercorre tra il termine del mandato in Siria e l'inizio di quello in Germania nel 7 d.C.; non è dunque possibile determinare né dove né come Varo operò per circa un decennio. Nel 7 ricevette l'incarico di amministrare i territori della Germania occupata, ma la sua politica eccessivamente avida e persecutoria nei confronti delle popolazioni locali provocò una rivolta capeggiata da Arminio, ex ufficiale germanico dell'armata romana. In Germania nel 9 cadde in un'imboscata tesagli a tradimento da Arminio nella selva di Teutoburgo (vedi Battaglia della foresta di Teutoburgo), nella quale furono annientate tre legioni e lui stesso morì suicida. Svetonio riporta il lamento di Augusto appena seppe della disfatta:"Quintili Vare, legiones redde!" (Quintilio Varo, restituiscimi le legioni!)

 

Wikipedia: Publio Quintilio Varo