Nel periodo arcaico, dalla fondazione di Roma fino a circa la metà del IV secolo, non esistevano leggi scritte. I diritti dei cittadini erano garantiti dallo Ius Quiritium: un insieme di riti e regole giuridici e religiosi tramandati oralmente la cui interpretazione era affidata al collegio sacerdotale dei pontefici, che era di composizione patrizia. Questa situazione era vista dai plebei come un elemento a loro svantaggio nella lotta per la loro emancipazione nei confronti dei patrizi. Nel 462 a.C. il tribuno della plebe Gaio Terentilio Arsa presentò una legge che dal suo nome fu chiamata appunto Lex Terentilia, che proponeva la formazione di un comitato di cinque cittadini al quale doveva essere affidato l'incarico di stendere definitivamente le norme che vincolassero il potere dei consoli, allora praticamente senza limiti.

Naturalmente questa proposta si scontrò con l'opposizione del Senato e, anche se venne ripresentata l'anno successivo e poi ancora in seguito, non riuscì mai ad essere approvata. Questo fallimento non fu comunque totale in quanto creò i presupposti affinché nel 452 a.C. si poté trovare un accordo fra patrizi e plebei per istituire una commissione di decemviri che dovevano preparare un codice di leggi che definisse i principii dell'ordinamento romano. Si stabilì anche che durante la permanenza dei decemviri nel loro ufficio, tutte le altre magistrature dello Stato sarebbero state sospese e le loro decisioni non sarebbero state soggette ad appello. Il primo decemvirato assunse la carica nel 451 a.C. e al termine del mandato presentò un codice di leggi scritte in dieci tavole che fu approvato dai Comizi centuriati. Visto il positivo risultato ottenuto, e non essendo ancora del tutto completato il lavoro, si decise la nomina di un secondo collegio di decemviri per l'anno 450 a.C.

Questo secondo decemvirato non fu però all'altezza del primo; infatti se da un lato produsse due nuove leggi, che si aggiunsero alle precedenti per formare le cosiddette Lex Duodecim Tabularum che formeranno il nucleo della legislazione romana per parecchi secoli, dall'altro, cioè per quanto riguarda la gestione del governo, fu caratterizzato da un comportamento che divenne via via più violento e dispotico soprattutto nei confronti della plebe. La situazione si aggravò quando, giunti alle idi di maggio, cioè al termine del loro mandato annuale, i decemviri non si dimisero dal loro incarico creando una situazione di grande tensione sia fra la plebe sia fra i patrizi. La necessità di indire una leva per rispondere alle scorrerie operate da Equi e Sabini costrinse ad accantonare momentaneamente la questione, ma due crimini commessi dai decemviri riportarono in evidenza il problema.

Il primo di questi crimini fu l'uccisione di Lucio Siccio Dentato un valoroso soldato, ex tribuno della plebe, che non aveva fatto mistero delle sue critiche verso i decemviri. Il secondo evento ebbe per protagonista Appio Claudio Crasso, l'unico decemviro ad essere stato eletto sia nella prima che nella seconda magistratura. Secondo il racconto di Livio, Appio Claudio si era invaghito di una bella giovane plebea, Virginia, figlia di Lucio Verginio, un ufficiale dell'esercito, e promessa in sposa a Lucio Icilio, tribuno della plebe. Respinto dalla ragazza Appio decise di ottenerla con l'inganno ed allo scopo ordì una sordida trama con l'aiuto di un suo cliente. Quando, anche grazie alla sua posizione di decemviro, stava per ottenere ciò che voleva, il padre della ragazza, pur di non lasciarla cadere nelle mani di Appio la uccise con un coltello e maledisse Appio per questa morte. Questo evento scatenò gravi tumulti, dapprima fra la folla presente. In seguito questi si estesero all'esercito accampato fuori Roma, che marciò quindi sulla città prendendo possesso dell'Aventino.

Intanto in città il Senato convocato da uno dei decemviri cercava una soluzione. Vennero inviati tre ex-consoli come ambasciatori sull'Aventino per chiedere alla popolazione quali fossero le loro richieste, ma questi risposero che avrebbero comunicato le loro richieste solo a dei loro rappresentanti. Allora il Senato fece pressione contro i decemviri affinché si dimettessero, ma questi resistettero. Visto che non si giungeva a nessuna soluzione, la popolazione sull'Aventino elesse dei propri rappresentanti e decise di uscire dalla città e ritirarsi sul Mons Sacer a ricordare al Senato gli eventi di alcuni anni prima. Conosciuta questa decisione i senatori rimproverarono i decemviri di essere responsabili di questa grave situazione e ne chiesero con forza le dimissioni. Particolarmente attivi in questa azione di pressione verso i decemviri furono i senatori Lucio Valerio Potito e Marco Orazio Barbato. Alla fine i decemviri cedettero, chiedendo che fosse loro garantita la protezione dalla rabbia della folla.

Il Senato inviò quindi Lucio Valerio e Marco Orazio sul Mons Sacer con l'obiettivo di concordare le condizioni per la cessazione della rivolta. Fu concordato che sarebbero stati ripristinati il potere dei tribuni della plebe e il diritto d'appello, entrambi sospesi con l'elezione del primo decemvirato. La plebe tornò quindi in città dove sul colle Aventino, con l'ausilio del Pontefice massimo Quinto Furio, elesse i propri tribuni, fra cui Lucio Verginio, Lucio Icilio e Publio Numitorio, rispettivamente, padre, fidanzato e zio materno di Virginia. Furono poi eletti consoli Lucio Valerio e Marco Orazio. Durante il loro consolato furono emanate diverse leggi che confermarono e rafforzarono i diritti della plebe.

Fra questa le Leges Valeriae Horatiae che riguardavano fra l'altro il diritto di appello, l'inviolabilità dei tribuni della plebe e le modalità delle loro elezioni. Secondo alcuni storici, gli eventi relativi a Lucio Siccio Dentato e Virginia, anche se riportati da Livio e altri autori, non sono da considerarsi completamente storici. Infatti gli autori dell'epoca dovettero basarsi su notizie tramandate secondo una tradizione orale in quanto, a causa del sacco di Roma del 390 a.C., la documentazione scritta antecedente quel periodo andò dispersa. È pertanto probabile che nei fatti raccontati ci sia un base di verità che poi si è andata arricchendo nella tradizione orale con elementi tesi a darle dei connotati più eroici.   

 

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