La Secessio plebis o secessione della plebe, fu una forma di lotta politica adottata dalla plebe romana, tra il V ed il III secolo a.C., per ottenere una parificazione di diritti con i patrizi. La secessione consisteva nel fatto che la plebe abbandonava in massa la città. In questo modo tutti i negozi e le botteghe artigiane restavano chiuse ed inoltre non era possibile convocare le leve militari che in quel periodo facevano sempre più ricorso anche ai plebei. La prima secessione avvenne nel 494 a.C. e l'ultima nel 287 a.C. Sul numero esatto di secessioni non vi è accordo unanime fra gli storici. Quelle certe sono tre, ma secondo Floro le secessioni furono quattro (494-493; 451-449; 445; 376-371) La distruzione dell'archivio di stato avvenuta in occasione del sacco di Roma del 390 a.C. ha sicuramente contribuito a far sì che gli eventi avvenuti prima di quella data venissero ricordati con un misto di fatti reali e tradizioni popolari.

Nei primi anni della repubblica tutte le cariche pubbliche erano in mano ai patrizi, forti del loro ruolo nella cacciata della monarchia ed i plebei non erano di fatto rappresentati. Inoltre le leggi sul debito, e l'uso del Nexum che consentivano di ridurre i debitori alla schiavitù, favorivano di fatto i patrizi, che approfittavano di questa situazione per prevalere nei confronti dei plebei.

Sul fronte militare Roma era allora impegnata nella sua conquista dell'Italia centrale e quindi più o meno costantemente in guerra contro i vari popoli della regione: Equi, Volsci, Etruschi, Ernici. Conseguentemente l'esercito, composto in buona parte da contadini e artigiani plebei, era in costante mobilitazione, rendendo quindi assai difficile ai soldati plebei curare le attività e gli interessi relativi ai loro mestieri.   L'insieme delle condizioni su esposte avevano determinato una situazione piuttosto tesa fra i debitori plebei ed i loro creditori in generale patrizi e spesso senatori. Questa situazione esplose in una sommossa nel 495 a.C. in cui un folto gruppo di debitori, sia schiavi che liberi, si presentarono al Senato per chiedere di intervenire in loro favore. In quell'anno erano consoli Publio Servilio Prisco Strutto e Appio Claudio Sabino Inregillense. Appio Claudio era propenso a sedare la rivolta con le armi, mentre Publio Servilio era orientato a trovare delle soluzioni di compromesso. Mentre in senato si discuteva senza arrivare ad una soluzione giunse a Roma la notizia che i Volsci avevano approntato un esercito che stava marciando contro la città. I senatori volevano quindi allestire un esercito per contrastare i nemici, ma la popolazione in sintonia con i plebei in rivolta rifiutò di rispondere alla chiamata alle armi. Il senato incaricò quindi il console Servilio di convincere il popolo ad arruolarsi. Servilio fece quindi delle promesse che corredò con un editto in favore dei debitori secondo il quale:

«....più nessun cittadino romano poteva essere messo in catene o imprigionato, in modo da impedirgli di iscrivere il proprio nome nella lista di arruolamento dei consoli, nessuno poteva impossessarsi o vendere i beni di un soldato impegnato in guerra, né trattenere i suoi figli e i suoi nipoti.»

L'esercito fu quindi condotto dai consoli contro i Volsci che vennero sconfitti e conquistata la città di Suessa Pometia. Nei giorni successivi ci furono altri scontri sempre vittoriosi contro Sabini e Aurunci. Al termine di questi combattimenti il popolo si attendeva che fosse rispettato quanto promesso dal senato, ma così non fu, con i due consoli in aperto contrasto fra loro: Appio Claudio che proseguiva imperterrito nel vessare i debitori e Servilio che si barcamenava tra il popolo e la nobiltà senza riuscire a prendere una posizione chiara. La situazione si trascinò quindi, non senza inquietudini e malumori, fino alla fine del mandato consolare.

A inizio 494 a.C. furono eletti consoli Aulo Verginio Tricosto Celiomontano e Tito Veturio Gemino Cicurino. Appena eletti, i consoli si trovarono a fronteggiare il problema di indire una leva per contrastare Volsci, Equi e Sabini in armi. Non riuscendovi chiesero consiglio al senato, ma ricevettero come risposta critiche per la loro mancanza di polso. Si arrivò quindi ad una situazione di stallo e fu necessario nominare un dittatore. I possibili candidati erano due: Appio Claudio e Manio Valerio Massimo. Alla fine fu scelto quest'ultimo poiché come membro della Gens Valeria godeva di grande considerazione fra la popolazione ed aveva inoltre una personalità meno aggressiva e più duttile rispetto ad Appio Claudio.

Manio Valerio riuscì a mobilitare un esercito ed a muovere contro i nemici sconfiggendoli e conquistando la città volsca di Velitrae. Rientrato a Roma dopo queste vittorie, Manio Valerio che non aveva dimenticato le questioni interne relative ai problemi dei debitori, portò il tema all'attenzione del senato chiedendo un pronunciamento definitivo sulla insolvenza per debiti. Visto che la richiesta non fu approvata, Manio Valerio si dimise da Dittatore. A questo punto i senatori temendo che l'esercito potesse sciogliersi, e da questo generarsi nuovi disordini, diedero ordine, con la scusa di una ripresa di ostilità da parte degli Equi, di portare l'esercito fuori città. I soldati tuttavia si rifiutarono e per protesta si ritirano sul Monte Sacro, tre miglia fuori Roma sulla destra dell'Aniene dove fortificarono un campo. Il senato, temendo che la situazione potesse ulteriormente peggiorare, inviò ai secessionisti come portavoce Menenio Agrippa, uomo dotato di grande dialettica e ben visto dalla plebe.

Secondo la tradizione, raccontata anche da Tito Livio, Agrippa riuscì a convincere i secessionisti a rientrare in città, sembra raccontando loro il famoso apologo delle membra e dello stomaco. Si giunse quindi finalmente a cercare una soluzione e venne trovato un compromesso in base al quale venne istituita una carica magistrale a difesa della plebe: il Tribuno della plebe. Questa carica era interdetta ai patrizi e venne sancito con una legge (la Lex Sacrata) il carattere di assoluta inviolabilità e sacralità (sacrosancti) della carica stessa. Vennero quindi eletti i primi due tribuni della plebe, che furono Gaio Licinio e Lucio Albino. A loro volta essi scelsero tre colleghi fra cui un certo Sicinio che aveva avuto un ruolo importante nella rivolta iniziale. Si era nel frattempo giunti alla fine del mandato consolare e vennero eletti due nuovi consoli per il 493 a.C.: Spurio Cassio Vecellino e Postumio Cominio Aurunco, entrambi alla seconda nomina.  

 

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