Lucio Tarquinio (Roma, ... – Cuma, 495 a.C.), meglio conosciuto come Tarquinio il Superbo a causa dei suoi costumi, fu il settimo e ultimo re di Roma. Della dinastia etrusca dei Tarquini, Tarquinio regnò per 26 anni, dal 535 a.C. al 509 a.C., anno in cui fu messo al bando da Roma. Figlio di Lucio Tarquinio Prisco, e fratello di Arunte Tarquinio, sposò prima Tullia Maggiore, la figlia maggiore di Servio Tullio, poi sposò la sorella di questa, Tullia Minore, da cui ebbe i tre figli Tito, Arrunte e Sesto, e con il cui aiuto organizzò la congiura per uccidere il suocero e ascendere sul trono di Roma. Tito Livio ci racconta che Tarquinio un giorno si presentò in Senato e si sedette sul trono del suocero rivendicandolo per sé; Tullio, avvertito del fatto, si precipitò nella Curia. Ne nacque un'accesa discussione tra i due, che presto degenerò in scontri tra le opposte fazioni; alla fine il più giovane Tarquinio, dopo averlo spintonato fuori dalla Curia, scagliò il re giù dalle scale. Servio, ferito ma non ancora morto, fu finito dalla figlia Tullia Minore che ne fece scempio travolgendolo con il cocchio che guidava.

Il luogo del misfatto ricevette in seguito l'appropriato nome di Vicus Sceleratus. A Tarquinio fu attribuito il soprannome di Superbo dopo che negò la sepoltura di Servio Tullio. Tarquinio assunse il comando con la forza, senza che la sua elezione fosse approvata dal Popolo e dal Senato romano e sempre con la forza (si parla anche di una guardia armata personale) mantenne il controllo della città durante il suo regno. In breve tempo annientò la struttura fortemente democratica della società romana realizzata dal suo predecessore e creò un regime autoritario e violento a tal punto da unire per la prima volta, nell'odio verso la sua figura, patrizi e plebei. Se le fonti antiche lo criticano per come conquistò e mantenne il potere in città in modo tirannico, le stesse gli riconoscono però grandi capacità militari: sotto il suo regno furono conquistate, infatti, importanti città del Latium vetus, quali Suessa Pometia, Ardea, Ocricoli e Gabii. Sempre durante il suo regno, iniziò la centenaria lotta tra Romani e Volsci. Sotto il suo regno fu portata a termine la costruzione della Cloaca Massima e del Tempio di Giove Ottimo Massimo, dopo la campagna vittoriosa contro i Volsci, con il bottino delle città conquistate.

Preoccupato da una visione, un serpente che sbucava da una colonna di legno, il re organizzò una spedizione a Delfi in modo da ottenerne un'interpretazione del famoso oracolo, inviandovi i propri figli per chiedere chi avrebbe regnato su Roma; di questa spedizione fece parte anche Lucio Giunio Bruto, nipote del re, che celava i suoi veri pensieri fingendosi stolto, bruto appunto. Dopo aver avuto il vaticinio richiesto dal re, la comitiva chiese anche chi sarebbe stato il prossimo re di Roma; il responso dell'oracolo, "Avrà in Roma il sommo imperio chi primo, o giovani, di voi bacerà la madre", fu compreso solo da Bruto, che tornato in patria sbarcando finse di cadere e baciò la madre terra. I fatti poi gli diedero ragione. In quel tempo Roma stava conducendo una guerra contro i Rutuli asserragliati nella città di Ardea; tutti i cittadini atti alle armi partecipavano all'assedio. In questo quadro si inserisce l'episodio di Lucio Tarquinio Collatino e di sua moglie Lucrezia, di cui si invaghì il figlio del re Tarquinio Sesto che, dopo aver lasciato il campo, tornò a Roma dove con l'inganno e la forza fece violenza a Lucrezia.

Il giorno seguente, la donna si recò nel campo militare dove si trovava il marito, e si uccise per il dolore di essere stata violentata.[ Sconvolti dall'accaduto e pieni d'odio per Tarquinio e la sua famiglia, Bruto e Collatino giurarono di non aver pace fino a quando i Tarquini non fossero stati cacciati dalla città. Raccolto il cadavere della nobile donna, seguiti dai giovani seguaci, i due si diressero a Roma dove Bruto parlò alla folla accorsa nel Foro; il suo eloquio fu così efficace e trascinante, e la nefandezza di Sestio così grande, che riuscì a smuovere l'animo dei propri cittadini, stanchi dei soprusi dei Tarquini, che proclamarono il bando dalla città del re, destituendolo e dei suoi figli mentre questi, avvertiti da dei seguaci, stavano tornando in città dal campo militare. Al re furono, quindi, confiscati tutti i beni, fu poi consacrato il territorio a Marte e affidato dal popolo il potere ai difensori della libertà. Tarquinio, messo al bando dalla città su cui regnava, venuto a sapere di questa notizia, mentre stava ancora assediando la città di Ardea, partì per Roma per reprimere la rivolta.

Lucio Giunio Bruto, allora, informato che il re si stava avvicinando, per evitare l'incontro, fece una breve diversione e raggiunse l'accampamento regio ad Ardea dove fu accolto con entusiasmo da tutti i soldati, i quali espulsero i figli del re, mentre a quest'ultimo venivano chiuse le porte in faccia e comunicata la notizia dell'esilio. Due dei figli seguirono il padre in esilio a Cere (Cerveteri); Sesto Tarquinio invece, partito per Gabii, qui fu assassinato da coloro che si vendicarono delle stragi e razzie da quello compiute. In seguito a questi eventi, furono convocati i comizi centuriati dal prefetto della città di Roma, ed elessero i primi due consoli: Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino. Costretto a fuggire con la moglie e i figli a Cere, dopo ventisei anni di regno, il vecchio sovrano non si diede per vinto e tentò di restaurare il proprio regno con l'aiuto di Porsenna, re di Clusium, a cui si alleò, e delle città latine avversarie di Roma. Nonostante i successi ottenuti dal lucumone etrusco, Tarquinio non riuscì a rientrare nell'Urbe.

Tarquinio allora, con i propri familiari, pose la propria base a Tuscolo, governata da suo genero Ottavio Mamilio. Questo cavalcò il malcontento delle città latine, adoperandosi in funzione anti-romana. Intanto Tarquinio riuscì a ottenere il sostegno degli Etruschi di Tarquinia e Veio, ponendosi al comando di un esercito che si scontrò con quello romano, condotto dai consoli Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola, nella sanguinosa battaglia della Selva Arsia, in territorio romano. La battaglia, a lungo incerta, vide la vittoria dei romani. Lo scontro inizialmente temuto si concretizzò nel 496 a.C., quando gli eserciti romani e latini si scontrarono nella battaglia del Lago Regillo. L'esercito romano fu affidato ad Aulo Postumio Albo Regillense, nominato dittatore per fronteggiare la crisi, ed a Tito Ebuzio Helva, suo magister equitum, mentre quello latino era guidato da Mamilio e dallo stesso Tarquinio.

«Il dittatore Aulo Postumio e il maestro della cavalleria Tito Ebuzio, partiti con grandi forze di fanteria e di cavalleria, affrontarono l'esercito nemico presso il lago Regillo, nel territorio di Tuscolo, e poiché appresero che nell'esercito latino vi erano i Tarquini, mossi dall'ira non poterono trattenersi dall'attaccare subito il combattimento. Pertanto anche la battaglia fu alquanto più dura e più sanguinosa che le altre. I comandanti infatti non si limitarono a dirigere la battaglia coi loro ordini, ma si esposero anche di persona impegnandosi in duelli, e quasi nessuno dei capi dei due eserciti uscì dalla battaglia senza ferite, tranne il dittatore romano. Tarquinio il Superbo, per quanto fosse già grave d'anni e di forze, spronò il cavallo all'attacco di Postumio che in prima linea incitava e disponeva i suoi, ma colpito al fianco fu portato al sicuro grazie all'accorrere dei suoi.» (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 19)

Tarquinio morì nel 495 a.C., mentre si trovava in esilio a Cuma in Campania. La notizia della morte dell'ultimo re di Roma fu accolta con manifestazioni di entusiasmo che coinvolsero tutta la città.

Con Tarquinio il Superbo termina l'egemonia etrusca, iniziata con il regno di Tarquinio Prisco sulla città di Roma. Perlomeno quella proveniente dalla città di Tarquinia, se nel periodo in cui prevale l'elemento etrusco si considera anche quello immediatamente successivo in cui Roma dovette quantomeno subire l'influenza (se non addirittura la conquista) di Chiusi.

Sotto i Tarquini, Roma aveva stretto alleanze con le città latine formando una lega all'interno della quale era la città egemone; ciò era avvenuto soprattutto grazie alla fondazione del tempio di Diana sull'Aventino. Nello stesso periodo Chiusi, dove regnava Porsenna, era diventata la più potente città etrusca e prendeva la decisione di conquistare Roma. Porsenna riuscì nel suo intento e cacciò Tarquinio il Superbo, il quale si rivolse alle alleanze che aveva a disposizione e in particolare ai latini e ai greci. I primi e i secondi, guidati questi ultimi da Aristodemo di Cuma, affrontarono Porsenna presso Aricia nel 510 a.C. sconfiggendolo. Nonostante questo, Tarquinio il superbo non tornò a Roma, ma trovò rifugio presso Aristodemo a Cuma. A Roma intanto dopo la cacciata dei tarquini e la sconfitta di Porsenna veniva fondata la Repubblica: si trattava di una rivoluzione aristocratica che si inserisce però in un quadro politico di ridimensionamento della forza etrusca nella penisola. Gli etruschi stavano progressivamente perdendo le loro posizioni in Lazio e Campania a vantaggio di Latini e Greci ed è possibile che in questo contesto Roma abbia approfittato per liberarsi di Tarquinio il Superbo che, cacciato da Porsenna, veniva visto dall'aristocrazia come un dittatore tiranno.      

Wikipedia: Tarquinio il Superbo